Quanto consuma il web?
In tempi di smart working e teleriunioni, il consumo energetico del web è un dato che tende a passare in secondo piano. Una delle conseguenze positive della pandemia è infatti l’uso limitato delle automobili, tra i primi imputati per la crescita di emissioni nocive all’ambiente; il rischio, però, è di immaginare il digitale come un mondo al cento per cento verde, che risolve completamente i problemi correlati al cambiamento climatico.
Invece anche il web consuma. E inquina: si parla di un miliardo e 850 milioni di tonnellate cubiche annue di CO2 (fonte: S&P Global). Più del Giappone, della Russia o dell’Italia. Se il web fosse uno Stato sarebbe il quarto inquinatore al mondo, alle spalle solo di Cina, Stati Uniti e India. Per usare un altro esempio, la tecnologia legata ad internet ha la stessa impronta ecologica del traffico aereo mondiale a pieno regime (fonte: BBC).
L’impronta di carbonio di Internet si è sestuplicata nel giro di 10 anni: nel 2010 era “appena” 300 milioni di tonnellate. E si calcola che, nel 2030, internet potrebbe consumare un quinto di tutta l’energia elettrica mondiale, anche a causa della diffusione dell’Internet delle cose e del 5G, che permetterà di trasmettere una quantità ingente di dati.
Proprio per questo motivo sono stati fatti enormi passi per abbattere i consumi energetici pro capite. Anche grazie all’intelligenza artificiale, che sarà utilizzata per impostare le funzioni del computer in base alle abitudini di ogni singolo utente, così da poter ridurre il bisogno di elettricità. Google ha usato l’IA per diminuire i consumi del 30% - e nonostante tutto necessita del doppio dell’energia della città di San Francisco. L’AMD, multinazionale americana produttrice di processori, ha annunciato di aver ridotto dell’84% il consumo d’energia nel giro di sei anni, aumentando l’efficienza e diminuendo i tempi medi di calcolo. Dal canto suo Apple già da qualche anno è alimentata al 100% da rinnovabili, anche se la stessa cosa non può dirsi per i suoi fornitori.
I maggiori consumi si hanno nei data center, cioè i cloud, le oltre otto milioni di strutture composte da migliaia di computer e che svolgono la funzione di server. In questo campo si stanno muovendo passi da gigante verso un maggiore uso di rinnovabili. Come ha fatto Microsoft, che ha eliminato gli impianti di climatizzazione dei data center utilizzando un sistema di raffreddamento ad acqua fatta evaporare dallo stesso calore dei server. A questo proposito, è stata avanzata la proposta di costruire i futuri data center in luoghi freddi, in modo tale da tagliare i consumi: una delle aree più adatte potrebbe essere la Groenlandia, che permette anche di utilizzare fonti di energia idroelettrica.
Ma anche i singoli internauti hanno la propria fetta di responsabilità. Ogni utente di internet produce mediamente 400 grammi di CO2 all’anno (fonte: BBC), compiendo operazioni a volte superflue. Una mail ha infatti un’impronta di 4 grammi di CO2, numero che si alza a seconda del contenuto della missiva e che arriva a 50 grammi semplicemente allegando un’immagine. Più ecologico il tweet, con 0.2 grammi, o ancora meglio il caro vecchio SMS, con la sua impronta di soli 0.014 grammi.
Lo streaming video, alla base delle tecnologie di Netflix, Now Tv o Prime Video, emette 300 milioni di tonnellate di CO2, più della Spagna (fonte: The Shift Project). Guardare una puntata di una serie tv in streaming produce le stesse emissioni di un giro in macchina di quindici chilometri. E poi ancora le ricerche su Google, che producono ogni giorno 12.542 tonnellate di CO2, o i videogiochi online, che negli USA utilizzano il 2.4% dell’elettricità domestica, più di quanto facciano i comuni elettrodomestici.