La guerra fredda fra UE e Big Tech

La guerra fredda fra UE e Big TechLa guerra fredda fra UE e Big Tech

La guerra fredda sui dati fra UE e Big Tech prosegue. A farne le spese questa volta sono gli utilizzatori del popolare servizio di tracciamento Google Analytics. Il Garante della privacy ha infatti da poco ammonito Caffeina circa l’utilizzo di questo strumento, che sarebbe responsabile di un trasferimento di dati negli Stati Uniti. Questa procedura non è riconosciuta come conforme con le vigenti normative europee in termini di privacy e conservazione del dato.

Per quanto in Italia le sentenze non facciano legge, questa decisione del Garante ha fatto sobbalzare tutti i soggetti che utilizzano regolarmente i servizi messi a disposizione da Mountain View, non solo Google Analytics. Per quanto l’azienda californiana abbia cercato di aggiornare il suo popolare strumento con una nuova versione (chiamata GA4, di cui abbiamo trattato in un post precedente), in modo tale da renderlo più conforme al GDPR, sembrerebbe che il problema di trasferimento di dati al di fuori del territorio della comunità europea rimanga. Questo bollerebbe quindi come non conforme alle normative vigenti anche GA4, soprattutto se si considera il merito delle obiezioni mosse dal Garante. Il condizionale è d’obbligo, anche perché il Garante si riserva il diritto di esprimersi sulle future configurazioni di tutti gli strumento di tracciamento analitico.

Quel che emerge da tutta questa vicenda è sicuramente la volontà delle istituzioni europee di limitare lo strapotere odierno detenuto dalle Big Tech. Questa vicenda va infatti collocata all’interno di un contesto più ampio: quello del braccio di ferro sui dati personali degli utenti europei. L’Unione Europea si è sempre schierata infatti per tutelare con leggi e regolamentazioni (su tutte l’ormai famoso GDPR) i cittadini da fughe e utilizzi non autorizzati di dati personali.

Per farlo l’UE ha utilizzato multe, come quella relativa alla violazione del Diritto Europeo costata a Google 100 milioni di euro, minacce di chiusura, come quelle rivolte ai popolari social di Zuckerberg a inizio anno, e normative, come la delibera dei recenti Digital Service Act e Digital Market Act, che spronano le varie società a una maggiore responsabilità sul controllo dei contenuti caricati dagli utenti sulla varie piattaforme.

La partita sui sistemi di tracciamento di Google si configura come l’ennesima battaglia di una guerra fredda in atto da tempo.

Ma lo scontro fra le due parti non si limita solamente all’aspetto di gestione dei dati; di recente, infatti, l’Unione Europea ha deliberato anche sulle cryptovalute e gli asset digitali, introducendo i due regolamenti validi per l’Europa: MiCA e TFR. Nello stesso periodo, verrebbe da dire quasi come risposta, la società americana Circle (emittente della famosa stablecoin sul dollaro USDC e ben inserita all’interno dell’ambiente finanziario tradizionale) ha annunciato l’emissione della prima stablecoin sull’euro, chiamata EUROC, apparentemente in barba a qualunque normativa europea e senza chiedere l’autorizzazione alla BCE.

L’anno scorso, inoltre, si è giocata la partita in merito alla tassazione dei colossi del web, con la Comunità Europea che reclamava tributi non versati, che si è conclusa con l’introduzione della Web Tax.

Sembrerebbe quindi che l’Unione Europea si intenzionata a regolamentare l’intero mondo digitale in tutti i suoi ambiti, dall’aspetto economico e tributario, passando per la gestione dei dati e arrivando fino alla sorveglianza sui contenuti e sui comportamenti degli utenti.